2 gennaio 2013

Uno spazio per sé in una scuola media*

di Sandra Gambardella

Per due anni è stato realizzato presso la Scuola Media Statale “Pergolesi 1” di Pozzuoli uno sportello di ascolto psicologico rivolto principalmente agli allievi della scuola con finalità di prevenzione del disagio e di promozione del benessere psicologico. La collocazione spaziale di tali interventi preventivi, destinati ad una fascia di età compresa tra gli 11 e i 13 anni circa, è cruciale: la possibilità di offrire uno spazio di ascolto all’interno della scuola, in quanto luogo di aggregazione naturale per i ragazzi, è molto importante per facilitare la richiesta di aiuto, rendendo accessibile il servizio psicologico anche agli alunni che non hanno forme di disagio strutturate.

La metodologia adottata è il counselling ad orientamento psicodinamico che prevede un numero limitato di colloqui individuali a cadenza settimanale (generalmente quattro) della durata di 45 minuti condotti secondo una tecnica adattata all’utenza e alla collocazione all’interno dell’istituzione scolastica.

I genitori sono stati informati della presenza dello sportello di ascolto psicologico e delle sue principali finalità e sono stati invitati a sottoscrivere una autorizzazione per la partecipazione del proprio figlio/a. I ragazzi si prenotavano poi segnando il proprio nominativo su un apposito registro tenuto dalla prof.ssa Raffone, referente del progetto per l’Istituto. Un elemento problematico di tale tipologia di intervento è dato dall’impossibilità di tutelare in maniera assoluta la privacy di coloro che richiedono una consultazione, in quanto, al momento dell’uscita dalla classe, gli insegnanti e i compagni vengono inevitabilmente a conoscenza della scelta dell’alunno di recarsi allo sportello (Lancini 2003). Se ciò può rappresentare un limite, soprattutto all’inizio dell’attività, la crescente integrazione dello sportello nella cultura scolastica e la diffusione dell’esperienza tra pari possono costituire una risorsa, come testimoniato dai “vuole venire anche la mia amica… io le ho spiegato come funziona” e dall’aumento progressivo delle richieste provenienti da una stessa classe.

Mi è sembrato importante, nonostante la giovanissima età e la necessità di richiedere una autorizzazione formale ai genitori, mantenere presente come elemento di base per poter svolgere il lavoro di counselling, l’autoriferimento (Iaccarino, 1990) che consente una richiesta di aiuto svincolata dalle dinamiche relazionali con i genitori “che possono agire in senso frenante e resistenziale o, viceversa, esercitare un’indebita pressione” (Adamo, 1997, p. 99).

Del resto anche la semplice decisione della scuola di attivare al suo interno uno sportello di ascolto psicologico rappresenta un messaggio significativo: gli adulti di riferimento non hanno infatti “segnalato” o “inviato” l’alunno, ma hanno deciso di offrirgli uno spazio, nella quotidianità della sua vita, di cui egli può usufruire spontaneamente (Lancini, 2003). In alcuni casi c’è stato certamente un incoraggiamento da parte degli adulti significativi che hanno sostenuto la scelta di recarsi allo sportello, in altri, invece, a fronte della richiesta dei ragazzi, non vi è stata l’adesione da parte dei genitori.

E’ qui importante anticipare che i ragazzi hanno utilizzato il servizio loro offerto in maniera assolutamente appropriata, nonostante una iniziale diffidenza da parte del mondo adulto, “autosegnalandosi” per raccontarsi e per comprendere le dinamiche emotive connesse al proprio disagio in modo più approfondito, non chiedendo una soluzione preconfezionata o un consiglio su come comportarsi, come spesso accade nel nostro lavoro.

Nonostante si tratti di interventi brevi con un’utenza che dovrebbe, in linea meramente teorica, non presentare problematiche gravi è comunque un “campo in cui bisogna inoltrarsi con cautela, disponendo di strumenti teorici e tecnici adatti. Ciò è tanto più vero quando si ha a che fare con adolescenti, che costituiscono una fascia d’età particolarmente delicata per l’intensità delle ansie che vivono, per la tendenza ad agirle ed esternalizzarle nelle loro relazioni esterne, per la fragilità della loro autostima” (Adamo, 1997, p. 96).

Lo psicologo ha il compito di aiutare il ragazzo/a ad acquisire una maggiore consapevolezza e a ridefinire meglio il problema per il quale si è presentato, a comprenderne il significato nei diversi contesti di vita, a guardarlo da una diversa prospettiva, a sostenere le sue capacità adattive agli eventi esterni che possono averlo indotto a chiedere aiuto (Valerio, 1997).

L’operatore non dà indicazioni o prescrizioni evitando di assumere una posizione direttiva, che potrebbe incoraggiare atteggiamenti passivi o infantili, ma privilegia l’ascolto di quanto spontaneamente il ragazzo/a va esponendo per costituire un’ “alleanza di lavoro” diretta all’esplorazione condivisa delle difficoltà attuali.

Durante i colloqui effettuati, i temi emersi con maggiore ricorrenza possono essere così sintetizzati: scarsa concentrazione o ansia che interferiscono con il rendimento scolastico; relazioni difficili all’interno del gruppo classe; problematiche affettive legate alla propria identità (identità di genere in alcuni casi); problematiche emotive e relazionali inerenti l’ambito familiare (spesso famiglie ricomposte, famiglie monogenitoriali, ecc.).

Naturalmente le tematiche affrontate non sono separate ma strettamente intrecciate, per cui, ad esempio, una scarsa capacità di concentrazione poteva essere connessa a problematiche familiari o affettive o a difficoltà relazionali con gli insegnanti o con il gruppo dei pari ecc., nella infinita possibilità di combinazioni che testimonia delle differenze individuali.

La scuola può rappresentare un luogo di crescita e di sviluppo, ma può anche diventare un ambiente dove le difficoltà di crescita e di relazione si manifestano in maniera più evidente. Le difficoltà più macroscopiche si rivelano, in tale contesto, con scarso rendimento o abbandono scolastico o ancora con fenomeni di aggressività o bullismo ecc., ma altrettanto problematici risultano quei “disagi” più celati e profondi che si manifestano con sentimenti di inadeguatezza, non accettazione di sé e/o sentimento di non sentirsi accettati dagli altri, adesione rigida alle regole della scuola o del gruppo di compagni ecc. (Mancini, 2006).

In termini generali, possiamo dire che i temi emersi sono strettamente connessi alla fase del ciclo di vita che i ragazzi stanno attraversando, ovverosia la preadolescenza, che rappresenta una fase di passaggio molto significativa tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza vera e propria, fase in cui i ragazzi non sono più bambini e neppure già adolescenti.

Si tratta di un’epoca di grandi trasformazioni in cui al preadolescente si pongono diversi compiti tra i quali, in primo luogo, quello di riuscire ad abitare i cambiamenti psicofisici della pubertà che hanno una significativa influenza sulla identità in via di definizione del ragazzo/a.

Un altro compito fondamentale è quello del distacco dagli oggetti genitoriali, del passaggio dall’ambiente familiare all’allargamento del gruppo degli altri significativi, passaggio caratterizzato da un andamento pendolare tra movimenti regressivi e progressivi (Blos, 1971): la ricerca della assoluta “armonia” all’interno del gruppo classe, e in generale nel gruppo dei pari, emersa in alcuni colloqui, sembra rappresentare la difficoltà di lasciare protetti ambienti familiari per avventurarsi in un mondo pericoloso dove il conflitto con i compagni di viaggio, la frammentazione del gruppo, provoca angoscia e il desiderio di ritornare alla propria base sicura.

E cosa devo fare per entrare nel gruppo? Essere uguale agli altri? Non litigare mai? Nascondere quelle parti di me che sento diverse dagli altri? E come faccio a rimanere uguale comportandomi in maniera diversa a casa, a scuola, con gli amici? Come faccio a tenere insieme questi diversi pezzettini di me e di mondo?

Il colloquio individuale consente una riservatezza estranea agli altri strumenti preventivi utilizzabili all’interno della istituzione scolastica (Rosci, 1998), infatti in questo contesto sono emersi spesso problemi “più segreti”, dei quali i ragazzi non avevano parlato con nessuno.

I colloqui hanno costituito spesso un primo momento di condivisione di difficoltà molto colpevolizzanti e vissute fino a quel momento come una sorta di pesante segreto talvolta espresse con domande dirette e capitali riguardanti il dubbio sulla propria identità, il dubbio sulla propria origine, il dubbio sull’amore. In alcuni casi l’esternare questi dubbi, la formulazione di queste domande, e il contenimento dell’angoscia connessa, ha permesso di sciogliere nodi problematici e fare un primo ma significativo passo per superare una situazione di impasse e riavviare il percorso di crescita emotiva.

La possibilità di vedersi “come in uno specchio”, cioè di guardarsi anche dall’esterno attraverso lo sguardo di un altro (Petrelli, 1996) può consentire di far emergere quelle risorse che il soggetto stesso pensava di non avere, o che non riusciva a “vedere”, perché paralizzato da una situazione difficile.

A proposito di risorse mi riferisco non solo alle risorse personali, che sono presupposte, sostenute e mobilitate, ma anche a quelle familiari, fornite dal supporto e dal sostegno del proprio ambiente familiare.

Nel secondo anno di attività dello sportello di ascolto vi è stato un aumento delle richieste da parte dei genitori degli alunni che avevano usufruito del servizio. I colloqui con i genitori sono stati effettuati in presenza dei ragazzi stessi, venendo a costituirsi come uno spazio di incontro e di mediazione tra figli e genitori, posto all’interno della scuola, in cui gli stessi figli avevano la possibilità di “restituire” qualcosa ai propri genitori dell’esperienza effettuata.

Gli interventi realizzati hanno finalità essenzialmente di prevenzione ma racchiudono potenzialità trasformative (Valerio, 1997): per alcuni ragazzi questa breve esperienza è stata utile per superare un momento di blocco o di crisi mentre per altri, i cui problemi risultavano più radicati e risalenti a tempo addietro, il counselling può aver avuto la funzione di portare alla luce il problema e di indirizzarli verso forme di aiuto più adeguate e prolungate.

“Il counselling può essere considerato per molti versi affine… a quei tentativi auto- terapeutici che vanno dal diario, all’amico, all’innamoramento. Si tratta di processi che in sostanza permettono l’articolarsi all’esterno, con un interlocutore che è allo stesso tempo esterno ma anche interno e in gran parte abbastanza indistinto da sé, di un discorso interiore destinato a continuare a svolgersi in seguito di nuovo all’interno di sé” (Petrelli, 1996, p. 84).



Riferimenti bibliografici



*Pubblicato in "Una stanza tutta per noi.  Una esperienza di collaborazione tra scuola e volontariato alla ricerca di nuove pratiche educative" a cura di Maria Gaita, Dora Gambardella e Sandra Gambardella - Gesco Edizioni, 2012.





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