Premessa
Il
presente lavoro è frutto dell’esperienza biennale realizzata presso l’Istituto
Superiore Statale “Pitagora” di Pozzuoli.
Nel
corso dei due anni, in coppia, abbiamo condotto incontri di rimotivazione e di
riorientamento a cadenza mensile in otto prime classi ad indirizzo
professionale e tecnico, segnalate come tra le più “problematiche” e a maggior
rischio di dispersione scolastica, finalizzati al potenziamento del gruppo
classe dal punto di vista affettivo- relazionale e, indirettamente, da quello
formativo e didattico.
Tali
incontri hanno visto la partecipazione di una psicologa tirocinante in qualità di osservatrice: l’osservazione delle dinamiche di gruppo e la
restituzione alla classe di quanto emerso negli incontri, attraverso la lettura
dei protocolli stilati, ha assunto un’importante funzione di mantenimento della
memoria del gruppo e di rispecchiamento, agendo come una sorta di “moviola” che
ha dato la possibilità ai ragazzi di vedersi, conoscersi e riconoscersi.
In
affiancamento al lavoro svolto in aula sono stati realizzati incontri
periodici, condotti da Cesare Moreno, con la nostra partecipazione e quella dei
docenti coordinatori delle stesse classi, destinati alla discussione in gruppo
dei protocolli di osservazione, al
confronto su casi problematici e alla progettazione partecipata di
possibili strategie di intervento e di recupero.
L’intervento dello psicologo con
il gruppo-classe
Nella pratica professionale di noi psicologi, nel
settore della scuola, ci troviamo spesso davanti alla richiesta insistente di
fornire aiuti concreti, suggerimenti pratici, indicazioni operative precise o
al desiderio di delegare totalmente all’“esperto” il “problema”.
La domanda implicita da parte dei docenti sembra
essere: “Cosa e come devo fare?” oppure “Risolvetelo voi”. Questa richiesta di
soluzioni preconfezionate e/o miracolistiche ci sembra proporzionale allo stato
di profonda frustrazione, stanchezza e sconforto che spesso vivono gli
insegnanti.
Il principio di base che ha accompagnato il nostro
lavoro in aula è stato quello di non colludere con tali richieste, ma di
proporre uno spazio di pensiero e di riflessione sulle dinamiche, sulle emozioni,
sui comportamenti che si strutturano all’interno del gruppo-classe attivando un’area
intermedia capace di risvegliare la voglia di pensare, di parlare per capirsi e
per confrontarsi (Giori, 1998).
Ci è sembrato infatti importante proporre lo psicologo
come una figura di mediazione sia in senso orizzontale, tra i membri del
gruppo classe, sia in senso verticale tra gruppo classe e docenti.
Crediamo che la creazione e la strutturazione del gruppo classe come gruppo,
non solo di lavoro (Bion, 1961), ma anche come gruppo affettivo
sia un elemento utile alla prevenzione della dispersione scolastica attraverso
la creazione di un clima relazionale positivo e la promozione della
partecipazione alle attività scolastiche ed extrascolastiche.
Come conduttrici del
gruppo-classe abbiamo provato a stimolare il gruppo a riflettere su se stesso,
a capire il perché delle cose, a far comprendere come in un gruppo ogni
comportamento possa essere letto come risposta alla situazione o ad altri
comportamenti precedenti, a far pervenire il gruppo alla consapevolezza che i
comportamenti sorti al suo interno solo da esso possono essere modificati.
Com’è noto ogni gruppo subisce periodicamente dei
blocchi nella circolarità, ovverosia, si instaurano resistenze e dinamiche
difensive che gli impediscono di funzionare efficacemente come gruppo di lavoro
e rischiano di cristallizzare le potenzialità della vita gruppale (Bion, 1961;
Giori, 1998).
Il fenomeno che abbiamo osservato più
frequentemente come difesa dalla nascita del gruppo è stato quello dell’agito,
della “fuga” dalla possibilità di espressione e di riflessione sulle proprie
emozioni attraverso continue richieste di lasciare la classe (per andare in
bagno, al bar o per “prendere un po’ d’aria”). Degno di nota a tal proposito,
il fatto che, in alcune classi, i ragazzi rimanessero per tutto il tempo con i
giubbotti indosso e gli zaini in spalla. E’ spesso emerso in molti ragazzi un vissuto di disagio
e di vergogna legato all’espressione delle proprie emozioni, sentite talvolta
come segno di debolezza.
Le
istituzioni educative, per come sono organizzate, sono contesti che non
facilitano sempre la crescita emozionale
dei giovani: il rendimento e i risultati rappresentano il principale, e spesso
l’unico criterio considerato per la valutazione degli studenti, non prendendo
nella giusta considerazione l’importanza complessiva dell’esperienza di vita
(Adamo et al., 2003).
Talvolta l’agito si è manifestato sotto forma di
aggressività espressa con litigi, battute sarcastiche sui compagni, attacchi reciproci e
generalizzati o con la formazione di sottogruppi contrapposti in lotta tra loro
(“Sembra che l’altra fila ci sfidi”) o ancora con un’aggressione costante e
concentrata verso un membro percepito come debole e trasformato in vero e proprio
capro espiatorio (“Abbiamo avuto la sospensione di classe perché P. è immaturo”,
“Chi ha il sostegno viene sempre promosso”).
Durante il percorso
molti ragazzi hanno esternato un vissuto di confusione rispetto alle regole
scolastiche, che sono apparse loro come incongruenti e/o contraddittorie (a
volte severe altre indulgenti) e, al contempo, il bisogno del limite che, oltre
ad avere una funzione di barriera di contenimento, permette lo sviluppo e la
crescita.
“Lo stesso studente
può essere turbato dal proprio comportamento sfrenato” e l’incapacità dell’insegnante
“a imporgli dei limiti lo lascia solo ad affrontare i propri sentimenti
distruttivi. Se, quindi, l’insegnante fa in modo di stabilire precisi limiti e
barriere, questo, in genere, produce un grande sollievo” (Salzberger-
Wittenberg et al., 1983, p. 108).
Demotivazione
o disinvestimento?
Il fenomeno della
dispersione scolastica rappresenta un problema complesso che non si identifica
unicamente con l’abbandono, ma si presenta con un complesso di manifestazioni
quali i mancati ingressi, le bocciature, le frequenze irregolari, i ritardi
rispetto all’età regolare, la qualità scadente degli esiti ecc. Esisterebbe una
stretta correlazione tra dispersione scolastica e condizione socio– culturale della
famiglia, irregolarità nella carriera scolastica, scollamento con la realtà
extrascolastica nei suoi vari aspetti sociali, dinamiche soggettive dello
studente che tende all’autoemarginazione e alla demotivazione (MPI, 2000).
La maggior parte dei ragazzi/e che hanno partecipato
al progetto, più che da una tipologia sociale di appartenenza, sembrano
accomunati da quel fenomeno definito come “marginalità scolastica”, connotato
da demotivazione, disaffezione, disinteresse, noia ecc., che innesca una lunga
catena di insuccessi, in primo luogo l’insuccesso scolastico che contribuisce,
a sua volta, a generare insuccesso individuale sul piano psicologico e sociale.
Ci sarebbe, in altre parole, una stretta interrelazione tra disadattamento
scolastico e disadattamento personale (MPI, 2000).
Alcuni sembrano
arrivare al primo anno delle superiori già delusi, demotivati, con una storia
di precedenti fallimenti scolastici, in bilico tra “rimanere e lasciare”, altri
sembrano solo aspettare i 16 anni per assolvere l’obbligo scolastico:
“S. dice che lui non è
portato per lo studio. I professori alla scuola superiore bocciano e quindi si
crea selezione. In seconda, arrivano solo i “buoni”…”.
“D. dice di essere
stato sospeso e che ora fa di tutto per farsi sospendere di nuovo, aspettando i
16 anni e con essi il termine dell’obbligo scolastico”.
“A. ha 17 anni. Dice di
avere 10 materie da recuperare, è stata già bocciata due volte in terza media.
Vorrebbe fare un corso di estetista o parrucchiera”.
Altri invece
vorrebbero studiare, andare avanti, ma anche loro sembrano essere penalizzati
dalla confusione, dal caos generato in classe e “qualcuno si perde, si chiude”.
“G.
ha 15 anni, è stato bocciato in terza media, dice di venire in questa scuola
perché è facile. Anche R. dice che ha scelto la scuola per la sua facilità,
aggiungendo che è facile perché non hanno i compiti a casa.”
“L.
dice che non hanno i libri ma solo alcune fotocopie. A lui piace il mestiere,
non la scuola. Vorrebbe studiare, ma qui non si fa niente”.
Paradossalmente gli
stessi ragazzi che raccontavano di aver scelto un determinato indirizzo di
studi per la sua facilità lamentavano il fatto di “non fare niente”, di non
studiare abbastanza, di non avere compiti a casa o libri di testo. Chiedevano
implicitamente e sicuramente con una buona dose di ambivalenza, di studiare di
più, di imparare di più, che fosse richiesto loro da parte dei professori un
maggior impegno.
Spostando l’attenzione
dalla demotivazione, vista come tratto di personalità degli allievi, e ipotizzandola
come il prodotto della relazione tra allievi e istituzione scolastica, si
potrebbe forse riconoscere che rendendo i programmi sempre più leggeri, non
pretendendo libri di testo o compiti a casa si sta comunicando agli studenti
che non c’è nessun investimento, nessuna scommessa su un loro apprendimento.
Ciò può avere una ricaduta negativa sull’autostima di ragazzi già così poco
capaci di valorizzare la formazione data la loro precedente storia scolastica
(Carli, 2003).
Volendo seguire
Carli (2003, p. 157): “La soluzione potrebbe essere quella di stilare programmi
sempre più impegnativi?”.
Conclusioni
Il
ruolo dello psicologo nelle situazioni scolastiche come quella appena descritta
sembrerebbe associabile alla funzione di un “oggetto transizionale” (Winnicott,
1951; Winnicott, 1971), ossia un “oggetto non-me”, portatore di un cambiamento
e di un miglioramento della relazione allievo-insegnante e, dunque, “oggetto
trasformativo” della relazione stessa. Tale associazione nasce da una visione
dello “spazio psicologico” quale area intermedia tra i ragazzi e gli
insegnanti, luogo di mediazione di stati e contenuti affettivi.
E’
possibile, infatti, riconoscere un’analogia tra le funzioni dello psicologo e
quelle dell’oggetto: di holding (Winnicott, 1965), in quanto
contenitori delle angosce e delle condizioni di malessere; di promotori di uno
spazio intermedio tra il mondo interno dell’allievo e quello esterno della
scuola.
Ciò
favorisce l’attuarsi di “fenomeni transizionali”, regno del simbolico, della
creatività e della parola, “dove la
parola non è un dato ma è una conquista: a partire dal silenzio, dall’urlo, dal
gesto, dal chiasso” (Melazzini, 2011, p. 168).
Ci
è sembrato che, durante il percorso effettuato, i ragazzi abbiano apprezzato
soprattutto la possibilità di verbalizzare e di veder riconosciute le proprie
esperienze emotive, la possibilità di comprendere anche il punto di vista dell’altro
(compagno o insegnante anche attraverso attività di role- playing), provando a mettersi
nei suoi panni e così, attraverso un “gioco di specchi”, conoscere meglio
se stessi.
“S.
ha sempre accusato O. in quanto studioso, calmo e appartenente alla fila
contrapposta. Oggi ci dice di aver capito il comportamento di O.. Qualche
giorno fa è successo che era stranamente preparato per il compito in classe,
così ha potuto sperimentare su di sé come si può sentire O. quando tutti lo
chiamano ripetutamente affinché passi il compito senza lasciargli il tempo di
pensare un attimo.”
Possiamo
concludere che, in generale, il consolidamento del gruppo-classe e l’aumento
della circolazione della comunicazione tra pari, ha generato piccoli ma
significativi movimenti di attivazione, per cui, alcuni studenti hanno
richiesto, grazie anche alla disponibilità dei propri docenti, di effettuare
incontri extrascolastici finalizzati a colmare le lacune in alcune materie,
mentre altri hanno deciso di organizzare assemblee di classe per discutere
delle problematiche inerenti le regole scolastiche.
“La
classe ha organizzato una assemblea durante la quale, senza fare tanto chiasso,
si sono confrontati sulle regole che non rispettavano. Ora stanno provando a
controllarsi a vicenda per far sì che vengano rispettate… anche se è
difficile”.
Ci
è sembrato che nelle classi dove è stata data l’opportunità di contribuire alla
definizione di norme comuni e negoziate, queste hanno avuto maggiore
probabilità di essere rispettate e difese.